Per anni abbiamo creduto che i capi in fibra sintetica ricavata dal riciclo dei rifiuti plastici fossero un prodotto ecologico sui quali orientare le nostre scelte da consumatore consapevole. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Leeds oggi invece scopriamo che, ogni volta che questi tessuti vengono lavati in lavatrice, una quantità rilevante di microparticelle plastiche viene rilasciata e dagli scarichi finisce direttamente in mare con tutte le conseguenze del caso. I ricercatori hanno dimostrato che per ogni lavaggio in lavatrice, caricata con 6 chilogrammi di indumenti sintetici, nei nostri mari finiscono mezzo milione di fibre di poliestere e 700mila fibre di acrilico. Un approfondimento su questo tipo di tessuti e un video ci aiuteranno a fare luce su un inquinamento nascosto e a capire perché sia tempo di evitare di acquistare prodotti falsamente ecologici andando al di là delle apparenze.
Le fibre chimiche e le fibre sintetiche
Le fibre chimiche, dette altrimenti man–made (letteralmente “fatte dall’uomo”), possono essere considerate una vera e propria rivoluzione nella produzione tessile. Esse infatti non solo coprono una gamma di utilizzi pressoché infinita, dal vestiario fino all’aerospaziale, ma perché hanno rappresentato una svolta verso l’economicità nel campo tessile. Un’ economicità legata strettamente alla qualità e alla praticità. Una delle branche in cui si possono suddividere le fibre chimiche, quelle sintetiche, hanno fatto di quest’ultimo fattore la loro caratteristica di punta, specie nell’abbigliamento sportivo. Tute, leggins, top, magliette della salute sono, in buona parte, costituite da fibre sintetiche quali il poliestere, l’elastan (o Lycra, il suo nome commerciale), l’acrilico, la poliammide, ecc.
Le fibre sintetiche, oltre a essere molto pratiche, sono state considerate “ecologiche”. Esse, si distinguono dalle altre fibre chimiche, quelle artificiali, perché sono prodotte dai derivati dei combustibili fossili, quali gas naturale e petrolio. In realtà prodotti di questo tipo non hanno nulla di naturale, sono in tutto e per tutto materie plastiche in quanto lavorate con l’etilene, in particolare il PET (ovvero polietilene tereftalato) presente anche nelle bottiglie di plastica. In passato le campagne ambientaliste in cui lo slogan era “Ricava un maglione dalla tua plastica”, erano molto diffuse e conosciute anche veritiere ma bisogna considerare l’altra faccia della medaglia.
L’inquinamento nascosto
Chi si occupa di sostenibilità ambientale, sa però che, in questo caso, il termine “ecologico” va preso con le pinze. Infatti la maggior parte delle aziende applica una politica alquanto controversa nel fabbricare tali prodotti. Spesso infatti per i prodotti in sintetico si usa la dicitura “lava e indossa” per la semplicità della manutenzione. Ma in realtà questo può essere un problema ecologico non indifferente. Le fibre sintetiche sono state create per imitare le fibre naturali. Certi tipi di problematiche, di conseguenza, possono essere le medesime. Ad esempio, un classico maglione di acrilico è un valido sostituto di quello di lana. La lana, quando si consuma, produce dei micro addensamenti e filamenti che si staccano dalla superficie. Il fenomeno, dovuto al deterioramento causato dall’utilizzo, è detto pilling.
Prodotti in acrilico o in poliestere possono essere soggetti allo stesso tipo di problema. Quando vengono lavati in lavatrice, poi, questi capi tendono a perdere molto pilling e microfilamenti. In seguito, vengono scaricati assieme all’acqua negli impianti di trattamento. La maggior parte di questi depositi finisce così in natura (mari, laghi, fiumi e oceani). Oltre ad avvelenare l’acqua, possono mettere a repentaglio l’intera catena alimentare di un ecosistema e l’intero ecosistema.
Un altro studio
Tutto questo è stato confermato da un ulteriore studio condotto da Sherri Mason dell’Università della California. La ricercatrice ha dimostrato che, a causa delle loro dimensioni microscopiche, i microfilamenti possono essere ingeriti dai pesci e accumularsi negli organismi. Ciò significa concentrare ingenti quantità di tossine pure nei corpi degli animali ai livelli superiori della catena alimentare. Risulta chiaro che va trovata una soluzione.
L’attivismo e il cinema
The Story of Stuff Project, è una comunità on-line che si propone, tramite una serie di film on demand, di focalizzarsi sulle grandi e interessanti innovazioni che porterebbero al cambiamento sociale ed ambientale di cui si sente bisogno. Un cambiamento che deve partire dalle piccole cose che gli individui e le comunità possono realizzare per fare la differenza. Questo procedimento, chiamato Soluzione di crescita, utilizza il mezzo cinematografico, perché è quello più immediato e comprensibile per arrivare al punto del problema e cercare anche delle soluzioni.
Di questa “strategia” per indurre gli individui ad essere maggiormente sostenbili, fa parte anche il cortometraggio The Story of Microfibres. Attraverso una serie di disegni stilizzati, e con uno stile leggero ed ironico, viene presentato il problema posto dalla produzione e dall’utilizzo delle fibre sintetiche, ovvero: come evitare l’inquinamento dei mari e allo stesso tempo, produrre dei prodotti tessili che possano considerarsi riciclabili al 100%?
La Community (molto attiva) sul sito di Story of Stuff si è posta questo problema, dimostrando una varietà di soluzioni: l’idea, per esempio di indossare solo prodotti naturali (lana, cotone, canapa), ad esempio è fattibile solo nella misura in cui si è tutti propensi ad applicare questa idea in modo radicale. Il che è praticamente impossibile perché il mercato del tessile si basa, per il 70% sulla produzione di sintetico che è mischiato anche con prodotti naturali. Logicamente è meglio quindi ridurre solo allo stretto necessario la fibra sintetica. Altre soluzioni che sono state proposte sono le seguenti: filtri per le lavatrici, filtri per gli impianti di trattamento delle falde acquifere, oppure (questo è un impegno da parte delle aziende) la creazione di prodotti più resistenti dove il deterioramento si ridurrebbe ulteriormente.
Questa potrebbe essere una delle possibili strade verso la sensibilizzazione ambientale su larga scala. Ovvero usare il mezzo cinematografico e, attraverso un semplice dibattito, riuscire a trovare delle soluzioni compatibili e che mettano d’accordo tutti, per l’interesse comune. Ancora una volta il potere del cinema dimostra il suo (ancora poco sfruttato) potenziale. Buona visione.